Tornare all'università a 30 anni e passa [Capitolo 8°]

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Ho 35 anni e mi sono iscritta alla facoltà di scienze e tecniche psicologiche, a Genova.

Perché? Per mille motivi.

Prima di tutto perché l'università è un percorso che ho cominciato diverse volte (prima a lingue, poi a ingegneria informatica) senza mai portarlo a termine. Hai presente quei progetti iniziati e mai finiti, ma che rimangono sempre presenti nel retro del tuo cervello?

Ne avevo di progetti sospesi da riaprire ben più semplici eh.

Il vestito all'uncinetto super sexy.

Le saponette fatte in casa aromatizzate con le erbette coltivate sul terrazzo.

Quelle canzoni strimpellate male all'ukulele.

Ma a me piace fare le cose in grande, così mi sono iscritta all'università. Per la terza volta.

È che sentivo proprio l'esigenza di acquisire degli strumenti migliori per diventare una professionista migliore come brand designer. Avrei potuto leggere libri e fare corsi invece che tornare all'uni? Certamente. Ma se questa necessità la combini a:

Allora ti rendi conto che, forse, l'università è la scelta giusta.

Quello che è stato fondamentale, per me, è averci pensato anni. Non mesi, ma anni.

Mi sono interrogata a fondo sul perché sentissi l'esigenza di riprendere gli studi. A volte mi sono detta che era solo la voglia di avere il bollino da laureata, e ho lasciato perdere.

Ma tante altre, mentre facevo le mie consulenze, mi sono chiesta come avrei potuto aiutare meglio queste persone che sembravano incastrate nel loro stesso flusso di pensieri, rovinandosi la vita e il business.

E siccome conosco bene la fragilità di certi meccanismi ma non avevo gli strumenti per poter andare più a fondo, mi sono guardata bene dall'improvvisarmi a coach/psicologa di sti gran cazzi.

Però succede una volta.

Due.

Tre.

Quattro, cinque.

Le persone mi passavano davanti, vedevo il problema, vedevo la soluzione ma non sapevo quale fosse il mezzo che potesse portarli da A (il problema) a B (la soluzione). E mi sentivo frustrata ogni giorno di più, finché non mi sono detta: "Basta, ora ci mettiamo una pezza."

Il primo mese di università

È solo un mese che frequento le lezioni ed è molto presto per cantare vittoria, ma ci sono un sacco di vantaggi nell'iscriversi all'università dopo i 30 anni.

  1. Molte nozioni degli esami le hai acquisite già grazie all'esperienza di vita. Io sono da sempre appassionata di psicologia e questo sicuramente mi facilita.
  2. L'ansia da ommioddio-mi-perdo-tra-i-corridoi-ho-bisogno-della-mamma un pochino c'è, ma non è lontanamente paragonabile a quella di 15 anni fa. Sai già che non ti succederà nulla di orribile, e la vivi molto serenamente. Non so se questa tranquillità mi accompagnerà anche durante gli esami, te lo farò sapere...
  3. La motivazione che hai addosso è cento volte più forte. Perché nel frattempo devi lavorare e sai che non ti puoi permettere di perdere tempo.

Perché non ho pensato a psicologia quando avevo 20 anni, se era una passione così grande?

Perché in realtà della psicologia non sapevo proprio nulla. Credevo che una volta laureata sarei stata tutto il giorno ad ascoltare i problemi degli altri, e non mi sembrava una gran vita (anche perché io sono una tenerotta e piangerei in faccia alla gente, e non mi sembra carino XD).

Solo con il mio lavoro e scoprendo le diverse branche che la psicologia ricopre (tra cui il marketing) ho capito che c'era da scavare molto, ma molto di più.

Dal punto di vista della motivazione, ho molto in comune con i miei colleghi ventenni. Più di quanto immaginassi.

Parlando con le altre ragazze durante il progetto matricole (eh sì, l'università si è evoluta e ci coccola, tentando di non farci scappare e supportandoci con progetti per farci integrare e non farci andare fuori corso) sono venuti fuori:

È stancante? Sì.

Arriverò esaurita a dicembre? Probabile.

Sono pentita? Per niente (non ancora, almeno...)

Dimmi un po' di te invece: se sei qui è perché stai probabilmente valutando di tornare all'università. Cos'è che ti sta frenando?

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Vivere con un introverso

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Questo post doveva essere pubblicato a settembre, perché 8 mesi di freelancing da casa mi sembrava un tempo adeguato per valutare la convivenza con Lui, l'introverso per eccellenza, il piccolo Buddha amico delle donne, che ascolta troppo, parla troppo poco e soffre ancora meno l'uragano di energia che è la moglie.

Poi è arrivata la pandemia.
Credo di avere abbastanza elementi a disposizione.

E' incredibilmente ironico che io e Matteo ci siamo scelti per la vita: io timida ma estroversa (abbastanza, ma molto meno di quel che ti immagini), non appena mi prendo la necessaria convivenza (basta sorridermi e guardarmi negli occhi, dopodiché sarò il tuo peggiore incubo); lui la timidezza non sa dove sta di casa, ma è introverso all'inverosimile.
E ragazzi, non è affatto una passeggiata. Questa differenza influenza le nostre dinamiche a livelli che non avrei mai immaginato.

Sfatiamo qualche mito sugli introversi

Intanto, una doverosa precisazione: prima di conoscere Matteo, per me, gli introversi erano persone troppo timide e disagiate per confrontarsi col mondo.

Persone con problemi, persone sbagliate. Dei sociopatici, via.

Un po' perché, durante l'infanzia, mi veniva detto continuamente che stare da soli a casa, a leggere libri su libri, era sbagliato; un po' perché ero finita in un gruppetto di amichette molto ette e poco amiche (e da qui nasce il mio odio verso le donne - ma tranquille, ho fatto pace con voi…beh, alcune di voi, ma ho capito che non avete colpa ad essere vagino-munite), tutte apparenza e poca sostanza, molto di destra e omofobiche - il che doveva essere già all'epoca un segnale forte che, se le persone di cui ti circondi non accettano quello che costituisce un buon 50% della tua persona, non sei molto bravo a sceglierti gli amici.

Con questo piccolo outing sono andata un attimo off-topic...
Torniamo a Matteo, l'introverso cialtrone del mio cuore.

Cosa succede nella testa di un introverso, se eccessivamente esposto alle persone?

Ebbene, si SCARICA. Come la peggiore delle pile modello super-economico, comprato al negozio di cinesi all'angolo.
Il mio modello di introverso personale, poi, è davvero speciale: l'ascolto attivo è per lui motivo di vanto (voi ce l'avete un uomo che ascolta davvero? LO SO, è una roba invidiabile), perciò mai ti dirà che non ha testa per ascoltarti. Piuttosto si addormenta, in pieno giorno, consumato dagli eccessivi input.
Lui dice che non dorme bene, io sospetto di averlo sfinito con le mie chiacchiere...

Come comportarsi con un introverso?

Ah, questa è un'ottima domanda, perché io mica ho ancora capito (e il 21 facciamo 4 anni di matrimonio, per dire).
So solo che:

a) Ogni tanto è conveniente sparire per mezza giornata (in questo periodo mi sono chiusa in una stanza, senza fare rumore), per dargli l'impressione di essere solo

b) E' inutile incaponirsi e trascinarlo a tutti gli eventi sociali: lui sarà angosciato tutto il tempo e tu appresso a lui, rovinandoti il momento

c) Ha dei tempi biblici a elaborare le emozioni e no, non puoi accelerare il processo

d) Gli introversi non sono affatto noiosi, né "limitati": Matteo è una delle persone più brillanti e buffe che conosca

Incontrarlo mi ha insegnato tanto. Mi ha aiutata a voler comprendere pienamente la complessità della mente umana, a mettermi alla prova e a migliorarmi come persona, imparando a rispettare le persone diverse da me - intendiamoci, mai stata razzista o chissà che. Ho giusto un'allergia verso i leghisti, ma per il resto sono ok.

Se vivi con un introverso (o sei tu ad esserlo), raccontami la tua esperienza.

Puoi farlo: a) Rispondendo a questo post b) Scrivendo tu un bel post su Instagram (ricordati di taggarmi, così non me lo perderò).

Non vedo l'ora di leggere la tua storia!

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Potere del mantra, a me

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Va bene, oggi mi sento più cialtrona del solito. Ma giuro che sto per affrontare un discorso serio, seppur brevemente!

Parafrasando il concetto di "mantra"

Qualcuno lo chiama "motto", "parola dell'anno" va molto di moda, i più sofisticati declinano su "leitmotiv".

E' una breve frase, una parola, un concetto che risuona fortissimo con noi.
Nell’induismo e nel buddismo tantrico, il mantra è una formula sacra che viene ripetuta molte volte.

E' un concetto molto potente e no, non ha nulla a che fare con la magia.
1) Ti libera la mente dai pensieri negativi: se stai pensando al tuo mantra felice, non c'è spazio per altro

2) Se accompagnato da una respirazione lenta e profonda, ti aiuta ad entrare in uno stato meditativo rilassato e privo di ansie

3) Concentrarsi sul suono e sulle vibrazioni della nostra voce ha ottimi benefici sul nostro sistema nervoso
jack nicholson mantra GIF
Il mio mantra è la parola "fiducia": quando la pronuncio mi fa stare bene, persino fisicamente. Sento un piacere formicolio pervadere tutto il colpo, mentre l'ansia, che mi preme la bocca dello stomaco, scivola via senza resistenze.

Mi aiuta nei momenti d'ansia.
Mi aiuta nella rabbia più cieca.
Mi aiuta quando sono in un momento di sconforto, quando penso di non raggiungere un obiettivo.
Mi aiuta quando sono in blocco creativo.
Mi aiuta quando pratico la gratitudine, perché rende il sentimento ancora più potente.
Mi aiuta nel voler rimanere con la mente nel presente, evitando di rimuginare nel passato o di immaginare scenari apocalittici futuri.

E tu? Qual è il tuo mantra?

Questo post è un invito: qual è il pensiero che ti libera da tutte le catene create dalla tua mente? Cosa ti dona leggerezza?
Fammelo sapere, sono curiosa.

Se fatichi a trovarlo, forse hai bisogno di un pizzico di autoconsapevolezza in più.

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Quando nessuno capisce cosa fai per vivere

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Quando ho raccontato a mia madre, per la prima volta, che volevo dimettermi dal mio lavoro da dipendente e fare la freelance, è partita un'accesa discussione di più di due ore.

"Almeno uno dei due deve essere solido" (riferendosi a mio marito, che è anche lui freelance), "Come fai a farti fare un mutuo?", "Prima sfrutta il periodo di maternità", "E se poi ti va male?" e tanti altri dubbi, dettati dalla paura e dai piani che lei si era creata per me, nella sua testa.

Io mi sono difesa strenuamente e sono andata dritta per la mia strada, ma ammetto che non è stato facile.

Tutte le obiezioni che ho ricevuto (da lei e da altri) sono frutto della paura. Paura che io non riesca a sostenermi economicamente, che non riesca ad avere i soldi per crescere dei figli, per comprare casa…per tutte quelle cose che, nella nostra radicatissima cultura italiana, sono sinonimo di stabilità.

E quando la società che ti circonda, la famiglia, gli amici ti dicono che funziona così e così deve essere, è difficile rompere le catene e andare controcorrente.
Quella paura te l'hanno contagiata e ti chiama sommessamente dalle tue viscere e dagli angoli più remoti della tua mente, dove ansia e insicurezza si rifugiano e complottano affinché tu possa fallire.

Perché io me lo sono chiesta come e quando avrei comprato casa, se fossimo diventati entrambi partita IVA.
Ma, alla fine, interrogandomi su cosa fosse più importante per me, ho concluso che preferisco metterci qualche anno in più e avere una carriera che mi soddisfi, piuttosto che rifugiarmi in una scelta sicura ma che mi renderebbe felice solo a metà (o molto meno di metà…).

Parla con chi ce l'ha fatta, non con chi non conosce il mondo lavorativo di cui vuoi far parte

Se vuoi fare lo streamer, la web designer freelance o l'artista bohémien e chiedi l'opinione di chi ha fatto il dipendente tutta la vita, non otterrai informazioni esclusivamente attendibili. Come può consigliarti qualcuno che non ci è passato in prima persona?
Non che non possano darci consigli utili, anzi; ma valutiamo attentamente le opinioni che ci arrivano, perché non tutte possono avere lo stesso peso e soprattutto non tutte sono mosse da motivazioni nobili.

Mettiamoci la paura che possiamo fare una brutta fine e finire sotto un ponte, in cima alla lista.
Ma vuoi che qualcuno, forse, sia pure invidioso di vederti intraprendere una strada che lui/lei non ha avuto il coraggio di perseguire?

Quindi sì alle critiche, ma solo se costruttive.

Ogni attività ha delle regole e una tassazione molto diverse.

Al giorno d'oggi, la pressione fiscale di un regime forfettario è molto diversa da un professionista a regime ordinario, che è sottoposto agli studi di settore.

Se hai un negozio e delle bollette da pagare, è una situazione molto diversa da chi, come me, non ha costosi macchinari da mantenere o un affitto di uno studio da sostenere.
Io non sono nemmeno costretta a girare in macchina per cercare o parlare con i miei clienti, posso farlo comodamente da casa. I miei costi di gestione sono, volendo, bassissimi; basta avere un pc e un cellulare decenti, per il resto sono i corsi di formazione a essere la spesa più importante (anche se non si smette mai di formarsi).

Ancora peggio quando il mestiere in sé non è conosciuto: io che realizzo siti web sembra che venda aria fritta…

A meno che tu non voglia affrontare sempre gli stessi discorsi in loop, non cercare di convincere nessuno. L'importante è che sia convinto tu.

Parla del tuo lavoro solo quando ti viene chiesto apertamente e non comunicare i tuoi dubbi e le tue insicurezze. Non è un invito a essere poco trasparenti: è solo un modo per evitare di essere facile preda delle loro ansie.

Per le tue vacillazioni, ci sono persone e posti migliori dove esternarli. Non solo: creati la tua rete di sicurezza, fatta di persone che stanno attraversando il tuo percorso - o lo hanno già fatto, con successo.

Confrontati con altri professionisti e circondati di persone positive, competenti, generose.

Chiedi aiuto, leggi le loro storie, fai delle domande.

Lanciati senza paura perché, anche se arriveranno i rifiuti e i "no, grazie", ce ne saranno molti altri a voler condividere con te il loro vissuto e pronti a dire: "Sì, certo!"

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Dove mi vedo fra 5 anni?

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Questo post doveva arrivare a fine aprile ma, vista la situazione attuale, ho pensato che fare un salto nel futuro con la mente possa essere in qualche modo confortante, per me stessa e per chi mi legge.

Dove sarò tra 5 anni?

🐣 In un bel loft, stile industrial, con qualche tocco di vintage/antiquariato, in qualche capannone industriale nella periferia di Genova. Tutto molto essenziale, tranne il mio spazio di lavoro: più sono piena di cose colorate e di post-it appesi al muro, più mi sento a mio agio e riesco a entrare nel flusso di creatività.
Avere una bella casa per me è fondamentale, anche perché ci passo moltissimo tempo.

🐣 Mamma di un bimbo, forse due: non ho intenzione di forzare la natura per concepirne, perciò ho deciso di adottare (e so che sarà ugualmente meraviglioso).

🐣 15 kg in meno: non che non mi piaccia così come sono, ma so che mantenere un certo peso mi aiuta a prevenire problemi di salute e, facendo un lavoro sedentario, il rischio di aumentare a dismisura è notevole (e le mie ginocchia mal conce potrebbero risentirne)

🐣 La mia agenzia digitale sarà composta di un team di 10 persone e sarà diventata anche un'accademia delle "cause perse": vorrei creare una realtà dove persone che hanno perso tutto possano trovare un rifugio, imparare un nuovo mestiere e reinserirsi nella società, con un nuovo scopo e una direzione.

Non ho idea di come realizzarla e forse tra 5 anni non saremo ancora pronti, ma so che la meta è quella e voglio arrivarci, a tutti i costi.

🐣 Parlerò decentemente giapponese. E' un po' una piccola ossessione quella del Giappone, non saprei nemmeno dirti esattamente perché.

🐣 Forse mi sarò diplomata in canto lirico. Forse. E' una passione alla quale ho dedicato tantissimi anni della mia vita, e il diploma lo vivo come la degna conclusione di un lungo percorso. Anche se, di fatto, non mi servirà assolutamente a nulla!

🐣 Avrò un abbonamento a teatro, uno per il mensile Internazionale e uno per Focus. Sembrano cavolate, ma è il genere di spese ricorrenti a cui rinunci quando devi stare attento al budget…

🐣 Avrò un guardaroba da pin up anni '50, pieno di pois, per far uscire la Audrey Hepburn che è in me (perché vi giuro che c'è, l'ho solo seppellita da qualche parte).

🐣 Avrò creato un podcast che parla di…

Non lo so ancora. Le idee sono tante, la voglia di raccontare ancora di più e sono ancora in piena fase di esplorazione.

Ma se hai qualche idea su che cosa potrei condividere dal mio bagaglio di esperienza, ascolto volentieri i suggerimenti!

E tu, dove sarai tra 5 anni?

Scrivi anche tu la tua bella lista e, se ti va, condivila con me (trovi la mia mail nella pagina Contattami) oppure con un bel post su Instagram. In questo caso non dimenticare di taggarmi, altrimenti mi perderò il post!

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Il mestiere del copywriter freelance, ma anche SEO, ma anche… [Capitolo 7°]

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 "Che lavoro fai?"

"La copywriter"

*compare espressione nebbiosa sulla faccia dell'interlocutore*

"Che? Quella roba sui diritti d'autore?"

"No, è quella roba che io scrivo cose su un prodotto o servizio e la gente lo compra perché gli ho fatto capire che è buono e ne ha bisogno."

Questa dialogo riassume un po' tutti i dialoghi che ho avuto finora con chiunque, in cui ho tentato (non sempre con grande successo) di dare una descrizione comprensibile e realistica del mio mestiere. Ma quella definizione credo sia fin troppo semplicistica.

In questi anni di studi, ecco le info che ho raccolto sul mestiere.

Cosa credo sia un copywriter

Cosa penso NON debba essere un copy

Chi ha influenzato la mia scelta - i professionisti del settore

Una delle primissime cose che ho fatto, quando ho cominciato a cercare informazioni sul mestiere del copywriter, è stato cercare degli articoli di chi fa questo lavoro "da un po'".

Pennamontata - Agenzia di copywriting e scuola di formazione per copy. 

Fra le qualità che secondo loro un copy dovrebbe avere, la frase di Flaiano che Valentina Falcinelli ha citato nel suo articolo è quella che mi è piaciuta di più: "Ha i piedi ben poggiati sulle nuvole". Perché il copy ha un obiettivo ben concreto: promuove dei brand fatti di persone reali, che parlano ad altre persone altrettanto reali. Ma, nel contempo, non deve farsi ingabbiare dalla concretezza e dagli schemi triti e ritriti.
I miei studi hanno preso una direzione diversa in seguito ma, se dovessi mai scegliere di fare un master di approfondimento, il corso Copy42 di Pennamontata è quello che mi ispira di più sul mercato attuale.

Luca Bartoli

Alla domanda "come si diventa copywriter", Luca risponde così (qui il post completo):

"La prima cosa che mi viene in mente è sempre “Non te lo so assolutamente dire; ma tu non lo dire al mio direttore creativo”, ma evito di essere così sincero. Non è per ricevere una risposta da simpaticone, per quanto onesto, che hanno preso il coraggio di scrivere a uno sconosciuto. Così il più delle volte, dopo aver premesso che mi sento un fortunato e che temo che la cosa oggi sia ancora meno facile, racconto come ho fatto a “entrare in agenzia” e come sono riuscito, dopo alcuni anni e varie agenzie, ad arrivare a uno stipendio decente. Perché la mia personalissima definizione di copywriter è “chi si guadagna da vivere scrivendo per la pubblicità” e nei primi tempi con quello che guadagna un copywriter non ci vivi. Per essere onesti, all’inizio inizio, non ci paghi neppure l’affitto.

Opinabile o no che sia, dà sicuramente un'idea su quali possano essere le aspettative su tale mestiere ed è, secondo me, il motivo per il quale tanti copy fanno anche un corso di grafica o si specializzano nella SEO o in altri campi ancora.

Elisa Pasqualetto

"Ebbene sì, caro il mio aspirante copywriter, la strada è tutta in salita e ce la devi fare da solo. La professione del copy non ha un corso di laurea apposito da seguire, non ha delle regole ben precise e nemmeno un iter definito, a dirtela tutta, purtroppo, in Italia non è ancora del tutto riconosciuta come una vera e propria professione."

Niente di più vero: prima di fare ricerca su Google, io stessa non sapevo che scrivere contenuti pubblicitari  / informativi / persuasivi fosse una professione con un nome tutto suo.

Qui Elisa racconta la sua esperienza nel percorso per diventare copywriter: https://elisapasqualetto.it/come-diventare-copywriter-la-mia-esperienza/

Anna Maria Testa

"Scrivere come copywriter mi ha insegnato a non trascurare tutto quanto sta attorno alla scrittura e ne determina il senso: paratesti e contesti. E mi ha aiutato a capire come, cambiando registri, avrei potuto decentemente scrivere tutto il resto. Si tratta, credo, del regalo più grande di questo mestiere."

Questo mi ha fatto capire come, più che uno che scrive bene, il copywriter sia uno che legge le persone e veicola le emozioni. Un po' come lo psicologo.

Quando ho letto il suo articolo, mi è venuto subito da sorridere perché ha scelto lo stesso tipo di incipit che ho scelto io per questo post: un breve dialogo fra lei e sua mamma. https://www.nuovoeutile.it/pdf/Il_mestiere_di_copywriter.pdf

Balenalab

"In pratica creo l’identità del brand studiando il nome e il payoff, scelgo le parole giuste per raccontarlo, do voce ai suoi messaggi (nel vero senso della parola, con la mia voce) ma a monte, sempre, mi occupo di una cosa tanto invisibile quanto necessaria: trovare un concept che gli calzi a pennello. Faccio riflettere i miei clienti sul loro business per studiare buone idee che li aiutino a riconoscersi e a farsi conoscere."

Estratto del seguente post: https://www.balenalab.com/il-lavoro-invisibile-del-copywriter-trovare-il-concept/ 

E come ho già detto sopra, il copy legge le persone. Ma non solo: ne prende l'essenza e la presenta al mondo, col vestito migliore che è riuscito a trovare.

Sono partita come copy, ma alla fine mi sono fatta distrarre

Al giorno d'oggi non esistono solo i professionisti specializzati in un unico campo, ma molti hanno esteso le loro competenze in settori analoghi e/o complementari.
Così, nella mia ricerca sul web, mi sono imbattuta in altre professioni che mi hanno attirata: la consulente SEO, per la propensione all'analisi di dati e tabelle per la competitività intrinseca; il web design perché, nel creare il mio blog e i siti per i miei clienti, mi sono divertita un sacco a giocare con l'interfaccia di WordPress; il SMM (Social Media Manager), che in fondo fa anche un po' da copy quando scrive le didascalie delle immagini che condivide sui profili social.

Se ti interessa approfondire uno di questi mestieri in particolare, fammelo sapere con un commento (nel frattempo, puoi dare una sbirciata all'articolo sulle professioni digitali).

Mi piace scrivere, ma…

Scrivere è una di quelle cose che mi capita di fare abbastanza bene, ma che non risuona esattamente in tutte le mie corde e che riesco a fare solo quando sono in eccellenti condizioni psico-fisiche: se ho qualche malessere fisico, se ho dormito male o se sono di cattivo umore, mi è difficile entrare nel flusso creativo.

Questo è un aspetto fondamentale del lavoro da freelance: da dipendente si pensa di potersi permettere con meno sensi di colpa di stare male, perché i soldi ti arrivano lo stesso, sia che tu sia rimasto a casa sia che tu sia andato a lavorare non esattamente al 100% delle tue energie.

Ma dire che da freelance se non lavori non vieni pagato, dà una percezione sbagliata su questo tipo di lavoro. Lavorare in proprio non vuol dire che devi stare sempre bene, ad ogni costo: se fai i tuoi prezzi sulla base del valore di ciò che offri e non un tot €/l'ora, hai più possibilità di gestire in maniera elastica il tuo tempo e gli incidenti di percorso.

Se invece il tuo compenso è stabilito su una paga oraria, tale importo deve tenere conto degli imprevisti.

E' questo uno dei motivi per cui un libero professionista si fa pagare "all'ora" ben più di un dipendente: i fattori di rischio sono più alti e di diversa natura. E no, non parlo del falso senso di sicurezza del dipendente che "tanto lo stipendio entra sempre, se sei freelance oggi mangi ma domani non lo sai". Ma di questo mito del lavoro dipendente ne parlerò un'altra volta.

Detto ciò, da quando lavoro come freelance mi sono concessa molte più mezze giornate di riposo di quanto facessi da dipendente (perché mi sentivo sempre in colpa a mettermi in mutua e non c'era febbre da cavallo che tenesse).

Ma bando alle ciance!

Copywriter del web, cosa ne pensate? La mia visione di questa professione è troppo idilliaca? Ditemi la vostra, si accettano anche insulti!

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Non sono una femminista (e ne vado fiera)

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No, non sono una femminista.

Ecco, l'ho detto. E tu, cara femminista che mi stai leggendo, starai rizzando il pelo come il più orgoglioso dei gatti persiani.
Ma tu, sei sicura di essere una femminista?

C'è un fenomeno che vedo dilagare in maniera preoccupante e che mi disturba non poco: alcune donne pensano di essere superiori agli uomini. E non sono nemmeno così poche!
Ma facciamo un attimo passo indietro.

Prima di tutta questa rivoluzione di genere, la differenza si riduceva al gioco-forza biologico: l'uomo era (e sottolineo, ERA) tendenzialmente più forte fisicamente della donna. E se io uomo sono più forte posso, nel migliore dei casi, procacciarti il cibo e difenderti dai pericoli, nel peggiore, addomesticarti / schiacciarti / controllarti / dominarti.

L'uomo ha avuto la meglio, nei secoli dei secoli. E pace all'anima di tutte noi.

Poi sono arrivate le suffragette (ma prima di loro Olympe de Gouges, Mary Wollstonecraft e tante altre) e finalmente si è riconosciuto il femminismo, un movimento volto a ottenere la parità politica, sociale, economica dei sessi.

Ma ragazze mie belle, vi siete accorte che il mondo è cambiato?

Ad oggi, sono fermamente convinta che le scissioni biologiche siano ormai diventate ridicole: conosco donne forzute più di Arnold Schwarzenegger e uomini che se devono spostare due scatoloni svengono come delle gentildonne col corsetto. Oggi, la vera forza non è più quella fisica: abbiamo troppi marchingegni che fanno la fatica al posto nostro, la leva militare non esiste più ed essere muscolosi è spesso un vezzo, una dichiarazione di status quo e non una necessità.

L'attenzione si è spostata sulla forza psicologica, sul carisma dei singoli individui e sul fascino del sapere.

 

La "dominazione" è quasi del tutto mentale, lasciando il concetto di forza fisica agli edonisti e ai traslocatori professionisti.

Ma nonostante ciò, noi donne stiamo passando all'altro eccesso, affermando la nostra superiorità nel tentativo di compensare le nostre insicurezze: e sì che affrontiamo la gravidanza, il parto, la maternità; che gestiamo la casa (non più così vero come una volta); che se ci viene l'influenza non ci buttiamo giù (mentre di uomini che fanno testamento con due linee di febbre ne ho visti eccome…).

Ma loro, gli ometti belli, ci sopportano.

Sopportano gli sbalzi ormonali, le seghe mentali, l'acidità pre-ciclo e le inziative alla Marie Kondo sulla LORO ROBA (perché noi, le scarpe belline che mettiamo una volta l'anno, col cazzo che le buttiamo, giusto?)

Cosa sto cercando di dire? Che la parità dei sessi è una cosa, trattare tutti con lo stesso grado di rispetto è un'altra, pretendere di essere trattate come uomini è una stronzata: non siamo uomini. Siamo un'altra categoria, con un codice di comportamento dedicato.

Gli uomini si prendono a spintoni per fare i coglioni, se lo fanno a voi parte una denuncia per aggressione. Non siete uomini, fatevene una ragione.

Poi vabbé, per la violenza sulle donne non c'è nemmeno da discutere: ci sarebbe da aprire un capitolo a parte su che tipo di provvedimenti adotterei per gli uomini che si sono fermati mentalmente a metà dell'800 (di solito sono procedimenti in cui sono coinvolti i genitali), ma poi passerei per una pazza sanguinaria. E non è carino 😊

Concentriamoci su una visione un po' più ampia: se sei uomo, donna, gay, trans, pansessuale o qualunque altra cosa, non è importante. Non è rilevante.

Parliamo di rispetto delle diversità, di tolleranza, di rispetto degli spazi altrui, rispetto delle convinzioni altrui (nella misura in cui le stesse convinzioni ricambiano il favore perché, se sei un razzista di merda che vuole far partire un nuovo olocausto, meriti il Napalm). Questo è il messaggio da far passare, non quello di promuovere una realtà utopica (e disfunzionale) in cui siamo tutte amazzoni.

Il problema, oggi, non è più essere donne. Il problema è avere a che fare con megalomani, bulli, opportunisti, razzisti e omofobi.

Finché ci saranno persone ad agire in funzione della paura del diverso, del più profondo egoismo o della malattia mentale più recidiva, questo mondo continuerà a fare schifo. Uomo o donna che tu sia.

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Ho lasciato il mio lavoro a tempo indeterminato [Capitolo 6°]

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Dopo tanta attesa, il giorno delle dimissioni è finalmente arrivato. E molto più presto di quanto avessi previsto!

Il mio stato mentale nelle ultime settimane da dipendente era come quello di un sub in piena immersione, che guarda verso il mare aperto: i suoni sono ovattati e dilatati, tutto andava a rallentatore intorno a me.

E io lì, quasi sopraffatta, fra la contemplazione e il fermento.

Poi, l'arrivo dell'ultimissimo giorno: il primissimo momento in cui ho realizzato che stava succedendo davvero è stato non appena sono entrata in macchina, dopo aver salutato i colleghi. Sono scoppiata a piangere e ridevo, contemporaneamente, dicendomi: "L'ho fatto, l'ho fatto davvero".

Da lì, è seguito uno stranissimo stato di…neutralità. Non saprei come chiamarlo diversamente.

Quando mi ritrovo in situazioni nuove e potenzialmente spaventose, il mio inconscio fa un giochetto tanto utile quanto pericoloso: si spegne.
Tendente all'apatico, faccio le cose che devo fare ma osservo la vita che scorre come se fossi una spettatrice e nulla più, con qualche sprazzo di lucidità qua e là, in cui la realtà e le emozioni che avevo lasciato fuori mi investono tutte insieme, lasciandomi sopraffatta e nel panico più totale.

Insicurezza, perché non vai a farti un giro?

In questo specifico caso, stavo cercando di lasciar fuori tutti i dubbi e le insicurezze: e se non riesco a ingranare con la nuova attività? E se non sono capace di auto-gestirmi? E se non riesco a raggiungere gli obiettivi che mi sono prefissata?
Quanto volte ho procrastinato, quante volte ho cominciato un percorso e l'ho lasciato a metà?

Perché questa volta dovrebbe essere diverso?

Per me è molto difficile intraprendere nuovi progetti, perché difficilmente li porto a termine. Mi annoio facilmente, velocemente e parto quasi sempre dal presupposto che non riuscirò a combinare nulla di serio.

Non mi sono mai perdonata di aver abbandonato due facoltà, di non essermi diplomata in conservatorio, e ci penso sempre cento volte prima di lanciarmi in qualcosa di nuovo.

Beh, questa volta è molto diverso: negli ultimi due anni ho portato avanti questo progetto con la stessa determinazione con cui ho cantato lirica per quasi 13 anni, l'unica passione che ho coltivato con costanza. Con testardaggine, entusiasmo e fame.

Fame di sapere, fame di capire, di fare di più e meglio.

Diventare una freelance non è un progetto come tanti altri, perché mi ha già insegnato tanto: che non serve per forza una laurea, per realizzarsi professionalmente; che se proprio ci tengo a laurearmi, che sia qualcosa che mi piace davvero e non che "mi assicura un posto di lavoro"; che non devo avere fretta di raggiungere la vetta, ma che devo concentrarmi sul prossimo passo davanti a me e godermi il panorama; che i cambiamenti sono inevitabili, se si vuole crescere e diventare persone più funzionali.

Sono molto fiera della persona che sto diventando e che sto coltivando giorno per giorno; sono fiera di rimanere fedele ai miei ideali e non tornerei mai indietro, inseguendo una vita insipida, prescritta dalle convenzioni sociali e dalle scelte che qualcun altro ha fatto per me.

Sono orgogliosa del coraggio che ho tirato fuori nell'affrontare questi cambiamenti radicali. Ho scoperto che i cambiamenti non solo non mi fanno paura, ma mi piacciono pure!

Non so quale sia il modo migliore per affrontarli, né di quale sia la formula magica per attuarli. Quello che però mi sento di dire è che ognuno li vive in modo diverso e che non dobbiamo ricalcare il percorso che fanno gli altri, ma crearne uno nuovo che parla di noi e della nostra esperienza di vita, che non potrà mai essere identica a quella di qualcun altro.

Che confrontarsi va bene per formarsi un'opinione, ma non per segnare dei punteggi.

Perché sì, la vita è una competizione. Ma non c'è un solo vincitore.

E tu, come li affronti i cambiamenti? Cosa faresti al posto mio?
Scrivimelo con un commento qui sotto, sono curiosa come una scimmia!

P.S. La foto che vedi è quella del mio piccolo angolo/studio ❤️

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Dipendente o freelance? [Capitolo 5°]

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Ormai era da un po' di tempo che stavo studiando come copywriter, e cominciavo a sentire l'esigenza di mettermi alla prova. Ma come fare? Qual era il passo successivo più intelligente da compiere? Farmi assumere da qualcuno o lanciarmi direttamente come libera professionista?

Essere o non essere (dipendenti), questo è il problema

Da una parte ero stufa di fare la vita della dipendente. Ero stufa di dover eseguire degli ordini di cui non comprendevo o condividevo le motivazioni, ero stufa di avere a che fare con tanti clienti maleducati e irrispettosi, ero stufa di tornare a casa con la schiena rotta a causa dei pesi che spostavo tutto il giorno e il formicolìo alle mani per colpa della mannaia; il tutto per uno stipendio che (per me) non era neanche lontanamente sufficiente a compensare lo sforzo a cui mi sottoponevo.

E attenzione, la mia non è pigrizia né tantomeno puzza sotto il naso: quando è stato necessario, sono andata anche a pulire cessi per pochi euro l'ora. Il lavoro duro non mi ha mai spaventata, sono sempre scesa a compromessi quando avevo bisogno di lavorare e sono grata per tutte le esperienze che ho fatto.

E' stata proprio la moltitudine di lavori che ho svolto ad aiutarmi a rendermi conto di quello che non volevo più.

Quando cominci ad assaporare l'idea di passare le tue giornate a fare qualcosa che ti piace, qualcosa che muove le tue corde e che ti fa sentire di essere davvero utile al mondo…inevitabilmente gli standard si alzano, e non ti accontenti più.

Era quello che stava accadendo a me: non mi bastava più percepire uno stipendio sicuro, non mi bastava più lavorare vicino casa o banalmente cercare di essere la migliore dipendente che un capo potesse avere.

Volevo essere orgogliosa del mio operato e fare la differenza nel mio piccolo angolo di mondo. E il mio lavoruccio di addetta alle vendite non mi dava più ciò di cui avevo bisogno.

Dall'altra mi stavo lanciando in un qualcosa di completamente nuovo e al di fuori della mia esperienza professionale, così mi sono chiesta se valesse la pena farsi assumere da qualche agenzia di comunicazione e farmi le ossa facendo la classica gavetta.

E quale metodo migliore di una bella lista dei pro e dei contro, confrontando la via del dipendente con quella del freelance?

Così sono partita dai vantaggi del lavoro dipendente (e del contratto a tempo indeterminato):

  1. Stipendio sicuro: a meno che non si finisca a lavorare per dei poveracci o dei delinquenti (come nel caso di mio marito, ahimè!), essere dipendenti ti dà qualche garanzia in più sul flusso di cassa. Non è una certezza scritta nella pietra, specie se si lavora per realtà piccole, ma in teoria dovrebbe essere un aspetto abbastanza sicuro dell'essere dipendenti.
  2. L'ammontare del tuo stipendio non è in funzione delle tue capacità. A meno che non cominci a fare seri danni alla tua azienda, la tua paga non verrà mai decurtata se lavorerai un po' meno. Magari ti fanno un cazziatone, ma i soldi ti arrivano lo stesso.
  3. Puoi ottenere facilmente un mutuo in banca o un contratto di affitto
  4. Se sei una donna, hai la maternità pagata
  5. Hai i giorni di malattia pagati
  6. Hai le ferie pagate
  7. Non devi cercare clienti, c'è già qualcuno che lo fa per te
  8. Non devi prendere decisioni importanti: c'è già qualcuno che lo fa per te

Poi ho riflettuto sui vantaggi della vita da freelance…

  1. Puoi scegliere un lavoro che ti appassiona (anzi, è quasi d'obbligo!)
  2. Decidi tu numero di ore di lavoro e orari
  3. Decidi tu quando andare in ferie
  4. Il tuo stipendio è direttamente proporzionale alle tue capacità: più sei un bravo imprenditore, più guadagni
  5. Se diventi proprio bravo, puoi persino sceglierti i clienti
  6. Non perdi tempo in trasferte
  7. Se hai una giornata meno produttiva, nessuno ti romperà le scatole (tranne il tuo perfezionismo)
  8. Puoi sceglierti i collaboratori con cui ti piace lavorare

Confrontando il mio impiego da dipendente con la mia attività da freelance digitale, nel mio caso specifico, ci sono dei vantaggi bonus nella libera professione:

  1. Se mi rompo una gamba, posso lavorare lo stesso
  2. Mio marito può aiutarmi molto, perché è lui stesso un freelance e può aiutarmi nel percorso
  3. Non dovrò mai più lavorare una domenica, se non per mia scelta (e finalmente avrò lo stesso giorno di riposo di mio marito)
  4. Non sono legata geograficamente a nessun posto, ma solo ad una connessione Internet decente: se voglio trasferirmi all'estero, nessuno può impedirmelo
  5. Posso lavorare anche in maternità, anche dovessi ritrovarmi allettata
  6. Posso accedere facilmente al mercato estero, laddove la barriera linguistica non è un problema
  7. Posso darmi un po' di più a vanità e non essere più costretta a indossare una divisa. Perciò: capelli sempre in ordine, mani più curate, guardaroba più elegante. So che sembra una scemenza, ma ci vuole anche un po' di frivolezza nella vita! E prendersi cura del proprio aspetto è parte integrante dell'imparare a volersi bene.

Ok, i numeri parlano chiaro: nella mia situazione, ho molti più vantaggi ad essere una freelance che una dipendente.

Ma quello che mi ha fatto decidere, prima ancora di finire la lista (che ogni tanto vado a rileggermi, quando la certezza vacilla e il terrore mi assale), è il come l'ho compilata: ho messo il massimo impegno nel trovare i vantaggi dell'essere una freelance, perché volevo che fossero di più.

Cercavo conferme, quando in realtà avevo già fatto una scelta.

L'idea di rimanere alla mercé di qualcuno, fino alla mia vecchiaia, con la gastrite cronica per i rospi da buttare giù e gli orari sempre diversi (spesso comunicati dal venerdì per il lunedì successivo, al punto da rendermi impossibile di programmarmi la vita senza impazzire), mi uccideva. Sapevo con assoluta certezza che, se non avessi cambiato la mia vita lavorativa, di lì a qualche anno mi sarei ammalata di esaurimento nervoso, se non peggio.

Non è questione di fare il freelance, è questione di essere freelance

Scegliere la libera professione non è l'unica risposta giusta: ognuno dovrebbe vivere in linea con i propri valori e ambizioni, e non sempre essere capi di se stessi è la risposta giusta. Ci vuole un mix di intelligenza, auto-consapevolezza, creatività e intraprendenza. Non è per tutti.

Essere freelance significa, fra le tante altre cose, saper gestire il senso di incertezza permanente: il momento in cui ti "senti al sicuro" non arriva mai.

Per come la vedo io, essere freelance è come fare i funamboli: in perfetto equilibrio si offre uno spettacolo meraviglioso, ma il rischio di cadere e farsi molto male c'è sempre, anche quando sei il miglior equilibrista in circolazione.

Io sono parzialmente un'incosciente, e ho deciso di buttarmici a capofitto.

Se mi farò male, pazienza. Almeno potrò dire di averci provato, senza dover aggiungere una voce alla lista "rimpianti del passato".

Quindi...avanti tutta! 💪

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Cosa fanno le persone di successo? [Capitolo 4°]

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Cerca le persone di successo che fanno il mestiere che ami, e trai ispirazione da loro

Molto tempo fa, osservare quelli che "ce l'hanno fatta" era per me motivo di frustrazione e invidia: volevo fare come loro, volevo ESSERE loro ma ahimé, la dea della fortuna non mi considerava nemmeno di striscio.
Quando finalmente ho realizzato che la fortuna non c'entrava proprio niente (o meglio, che la fortuna me la dovevo creare io), ho cominciato a guardare le persone di successo con uno spirito tutto nuovo; ho capito che quel sentimento di invidia era strettamente legato alla mia insicurezza e ai sensi di colpa, per non aver fatto tutto quello che potevo per raggiungere i miei obiettivi e assecondando procrastinazione e paura del giudizio - quello altrui ma soprattutto il più rigido di tutti, il mio.

Le persone di successo sono persone. Non creature mistiche.

Nel mondo del lavoro, c'è la tendenza generale ad impostare una facciata di perfezione.

Tutto deve sembrare perfetto dall'esterno, come se ammettere di essere umani e di avere dei difetti fosse un modo per danneggiare la propria immagine di autorevolezza.

Quando ti rendi conto di ciò, la distanza che percepisci fra te e il "professionista" si annulla: non è un mostro, mangia caga e dorme come ognuno di noi.

Semplicemente, lavora sodo per raggiungere i suoi obiettivi.
Perciò perché non osservare con attenzione ciò che fanno e prendere spunto? 😉

Alla ricerca delle persone di successo

Le regole base sono semplici e valgono per tutti, a prescindere dal tipo di settore/attività da analizzare:

🐣 Ragiona da cliente! Cerca su Google le parole che le persone, secondo te, utilizzano per cercarli a loro volta sui motori di ricerca

🐣 Cerca i professionisti con i quali puoi facilmente empatizzare, perché hanno una comunicazione che apprezzi o molto simile alla tua

🐣 Guarda chi fa qualche errore, secondo te, nell'immagine che comunica (branding) o qualche errore di strategia di marketing e prendi nota; potresti scoprire nel tempo che non era affatto un errore o, semplicemente, ti eviterai di farlo tu quando ti troverai nella stessa situazione

🐣 Non avere fretta e non essere superficiale - una ricerca come si deve, se fatta giornalmente (o quasi), dura almeno 3/4 settimane

🐣 Prendi nota di tutto il materiale, i libri di testo, i corsi che esistono per arricchirti; molti li userai, altri no…ma meglio avere una fonte da quale attingere, anche più in là nel tempo. Inoltre, ti accorgerai meglio di quali sono i "testi sacri" che vengono consigliati un po' da tutti e dei nomi ai quali dare più peso rispetto ad altri

🐣 Iscriviti ai gruppi Facebook, forum, podcast, newsletter, ecc.

Immergiti completamente nel mondo in cui vuoi entrare e raccogli più informazioni che puoi!

Come ho trovato le mie persone di successo da seguire?

Prima di decidere di stravolgere la mia vita e diventare piemontese, volevo essere assolutamente sicura che la strada del copywriting fosse percorribile. Ma come potevo avere qualche certezza in più?

Siamo tanto fortunati al giorno d'oggi: su Internet trovi veramente di tutto e con grande facilità.

Così ho sfruttato il magico mondo del web e ho cominciato a cercare chi fa questo mestiere da tempo; ho cercato articoli in cui si raccontavano, nel loro percorso di apprendimento e nella loro vita di professionisti della scrittura persuasiva, sia online che offline. Mi sono iscritta a dei gruppi Facebook, senza essere un membro attivo ma osservando in religioso silenzio e assorbendo nuove informazioni come una spugna. Poi, non avendo ancora voglia di scappare, ho fatto un paio di piccoli investimenti: ho acquistato "How to write copy that sells" di Ray Edwards  e un paio di corsi su Udemy di Evan Kimbrell.

Già da questi strumenti iniziali ho cominciato a capire che stavo seguendo la direzione giusta, che molti meccanismi del copy li stavo già applicando nella vita di tutti giorni e nel mio lavoro da dipendente, istintivamente.
Ho continuato a cercare, fino ad avere una breve lista di "persone di successo" da poter seguire nel tempo.

Il mondo della comunicazione: la vecchia guardia e la nuova guardia

E' facile distinguere chi è nato nell'era digitale da chi, invece, nella sua infanzia non ha avuto un cellulare o tantomeno un pc: questi ultimi non li trovi facilmente online, non hanno siti web personali, non sono particolarmente attivi sui social. Talvolta hanno un profilo su Linkedin (che non sempre fornisce info utili) ma, se sono professionisti che hanno lasciato un segno importante nel loro campo, li sentiremo nominare spesso dagli altri colleghi.

E' il caso di Annamaria Testa, consulente per la comunicazione.

Ha scritto diversi libri, alcuni considerati veri e propri testi sacri (come "La parola immaginata"); scrive per una delle mie testate giornalistiche preferite, l'Internazionale; ha creato nuovoeutile.it, un portale dove raccoglie materiale sulla creatività, in tutte le sue forme. Oltre ad avere diversi decenni di esperienza sul campo, è fottutamente simpatica. In questo TED talk l'ho semplicemente adorata.

Pillole di psicologia? C'è Luca Mazzucchelli.

Psicologo e psicoterapeuta, tratta di crescita personale e lavorativa. I suoi podcast sono brevi, ma densi di spunti su cui riflettere. Da ascoltare assolutamente!

Invece del telegiornale, guardati un bel video di Marco Montemagno a colazione.

"Imprenditore tech", nel suo canale Youtube affronta tematiche sul mondo del lavoro digitale, di nuove tendenze, ma anche di approccio vincente, nel lavoro e nella vita. E lo fa con un approccio leggero, ironico e pungente.

Chiara Gandolfi, la copywriter che vorrei diventare

Se penso a storytelling, passione e creatività, mi viene in mente subito il suo nome. Sarà che non è solo copy ma anche voice talent (e da cantante lirica, sento una certa affinità), ma ho spulciato il suo sito da cima a fondo e ogni tanto torno a guardarlo. Il suo modo di scrivere è semplice, pulito, senza tante parole ricercate ma allo stesso tempo mai banale. Ha scritto anche un libro (che devo ancora leggere, è in cima alla pila però!), "Scrivi più bianco". Trovi il link nella pagina "Chi sono" sul suo sito.

Tatiana Schirinzi, esperta SEO

Diversa area di competenza, simile modalità di comunicazione di Chiara: linguaggio snello, diretto, con un po' di "pucciosità" come piace a me. La sua "SEO pozione" è sicuramente magica quanto il nome.

Michela Murgia e "Morgana", il podcast delle donne fuori dagli schemi

"Donne controcorrente, strane, pericolose, esagerate, stronze e a modo loro tutte diverse e difficili da collocare. Donne che vogliono piacersi e non compiacervi un po’ fate e molto streghe, belle e terribili insieme."

E' questa l'introduzione che ascolterai in ogni puntata, e non potrebbe essere più calzante. Poi metti una bella voce narrante, degli effetti sonori giusti piazzati al momento giusto, aggiungici "Dog days are over" di Florence & the Machine e otterrai un podcast da non perdere.

Dan Lok, da ragazzino del copy a multimilionario

Che la sua storia sia romanzata o meno, la sua capacità comunicativa è indiscussa: nato in Cina e trasferitosi in Canada all'età di 14 anni, racconta di aver fallito 13 attività prima di avere successo. Se stai pensando di avviare un'impresa e mastichi l'inglese quanto basta, i suoi video su Youtube potrebbero tornarti utili.

Giada Carta, una mentore poco convenzionale

Lei si definisce "Soulful mentor": aiuta le donne a trovare l'abbondanza nella propria vita, trovando il giusto equilibrio fra la sfera professionale e quella personale.
Se mi conosci un po', sai che non sono un tipo spirituale/religioso e che il mondo della magia, per me, è frutto della superstizione. Perché te lo sto dicendo proprio ora? Perché Giada ha un approccio molto particolare come mentore: fra un consiglio e l'altro ti citerà qualche tarocco, qualche dea pagana, qualche rituale…Ma, anche se non credi in tutto questo, poco importa: quello che ti insegnerà è assolutamente concreto e reale, soprattutto se aspiri a diventare una freelance. Dai un'occhiata al suo sito: ha messo a disposizione un bel po' di materiale gratuito!

Andrea Giuliodori

E' un ingegnere con la passione per la psicologia e gli strumenti di crescita personale. Gestisce efficacemente.com con grande successo e, secondo me, ha un certo talento per la scrittura. La sua newsletter del lunedì mi ha spesso rimescolato le idee in testa e sollevato la giornata. Grazie di esistere Andrea ❤️

Ljuba Daviè, web designer freelance

Quando ho un dubbio sulle mie attività online, penso sempre "cosa farebbe Ljuba?"

Sarà che ha scelto una grafica con colori pastello come piace a me, sarà che ama la cancelleria come me, ma io questa ragazza la adoro. Mi piace il suo portfolio, il suo brand, il messaggio che vuole portare nel mondo.
Se avessi mai bisogno di una web designer, so con assoluta certezza che mi rivolgerei a lei.

Qui puoi vedere il suo sito.

E tu? Quali sono le tue persone di successo da seguire?

Fammelo sapere con un commento qui sotto!

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