Tornare all'università a 30 anni e passa [Capitolo 8°]

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Ho 35 anni e mi sono iscritta alla facoltà di scienze e tecniche psicologiche, a Genova.

Perché? Per mille motivi.

Prima di tutto perché l'università è un percorso che ho cominciato diverse volte (prima a lingue, poi a ingegneria informatica) senza mai portarlo a termine. Hai presente quei progetti iniziati e mai finiti, ma che rimangono sempre presenti nel retro del tuo cervello?

Ne avevo di progetti sospesi da riaprire ben più semplici eh.

Il vestito all'uncinetto super sexy.

Le saponette fatte in casa aromatizzate con le erbette coltivate sul terrazzo.

Quelle canzoni strimpellate male all'ukulele.

Ma a me piace fare le cose in grande, così mi sono iscritta all'università. Per la terza volta.

È che sentivo proprio l'esigenza di acquisire degli strumenti migliori per diventare una professionista migliore come brand designer. Avrei potuto leggere libri e fare corsi invece che tornare all'uni? Certamente. Ma se questa necessità la combini a:

Allora ti rendi conto che, forse, l'università è la scelta giusta.

Quello che è stato fondamentale, per me, è averci pensato anni. Non mesi, ma anni.

Mi sono interrogata a fondo sul perché sentissi l'esigenza di riprendere gli studi. A volte mi sono detta che era solo la voglia di avere il bollino da laureata, e ho lasciato perdere.

Ma tante altre, mentre facevo le mie consulenze, mi sono chiesta come avrei potuto aiutare meglio queste persone che sembravano incastrate nel loro stesso flusso di pensieri, rovinandosi la vita e il business.

E siccome conosco bene la fragilità di certi meccanismi ma non avevo gli strumenti per poter andare più a fondo, mi sono guardata bene dall'improvvisarmi a coach/psicologa di sti gran cazzi.

Però succede una volta.

Due.

Tre.

Quattro, cinque.

Le persone mi passavano davanti, vedevo il problema, vedevo la soluzione ma non sapevo quale fosse il mezzo che potesse portarli da A (il problema) a B (la soluzione). E mi sentivo frustrata ogni giorno di più, finché non mi sono detta: "Basta, ora ci mettiamo una pezza."

Il primo mese di università

È solo un mese che frequento le lezioni ed è molto presto per cantare vittoria, ma ci sono un sacco di vantaggi nell'iscriversi all'università dopo i 30 anni.

  1. Molte nozioni degli esami le hai acquisite già grazie all'esperienza di vita. Io sono da sempre appassionata di psicologia e questo sicuramente mi facilita.
  2. L'ansia da ommioddio-mi-perdo-tra-i-corridoi-ho-bisogno-della-mamma un pochino c'è, ma non è lontanamente paragonabile a quella di 15 anni fa. Sai già che non ti succederà nulla di orribile, e la vivi molto serenamente. Non so se questa tranquillità mi accompagnerà anche durante gli esami, te lo farò sapere...
  3. La motivazione che hai addosso è cento volte più forte. Perché nel frattempo devi lavorare e sai che non ti puoi permettere di perdere tempo.

Perché non ho pensato a psicologia quando avevo 20 anni, se era una passione così grande?

Perché in realtà della psicologia non sapevo proprio nulla. Credevo che una volta laureata sarei stata tutto il giorno ad ascoltare i problemi degli altri, e non mi sembrava una gran vita (anche perché io sono una tenerotta e piangerei in faccia alla gente, e non mi sembra carino XD).

Solo con il mio lavoro e scoprendo le diverse branche che la psicologia ricopre (tra cui il marketing) ho capito che c'era da scavare molto, ma molto di più.

Dal punto di vista della motivazione, ho molto in comune con i miei colleghi ventenni. Più di quanto immaginassi.

Parlando con le altre ragazze durante il progetto matricole (eh sì, l'università si è evoluta e ci coccola, tentando di non farci scappare e supportandoci con progetti per farci integrare e non farci andare fuori corso) sono venuti fuori:

È stancante? Sì.

Arriverò esaurita a dicembre? Probabile.

Sono pentita? Per niente (non ancora, almeno...)

Dimmi un po' di te invece: se sei qui è perché stai probabilmente valutando di tornare all'università. Cos'è che ti sta frenando?

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Vivere con un introverso

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Questo post doveva essere pubblicato a settembre, perché 8 mesi di freelancing da casa mi sembrava un tempo adeguato per valutare la convivenza con Lui, l'introverso per eccellenza, il piccolo Buddha amico delle donne, che ascolta troppo, parla troppo poco e soffre ancora meno l'uragano di energia che è la moglie.

Poi è arrivata la pandemia.
Credo di avere abbastanza elementi a disposizione.

E' incredibilmente ironico che io e Matteo ci siamo scelti per la vita: io timida ma estroversa (abbastanza, ma molto meno di quel che ti immagini), non appena mi prendo la necessaria convivenza (basta sorridermi e guardarmi negli occhi, dopodiché sarò il tuo peggiore incubo); lui la timidezza non sa dove sta di casa, ma è introverso all'inverosimile.
E ragazzi, non è affatto una passeggiata. Questa differenza influenza le nostre dinamiche a livelli che non avrei mai immaginato.

Sfatiamo qualche mito sugli introversi

Intanto, una doverosa precisazione: prima di conoscere Matteo, per me, gli introversi erano persone troppo timide e disagiate per confrontarsi col mondo.

Persone con problemi, persone sbagliate. Dei sociopatici, via.

Un po' perché, durante l'infanzia, mi veniva detto continuamente che stare da soli a casa, a leggere libri su libri, era sbagliato; un po' perché ero finita in un gruppetto di amichette molto ette e poco amiche (e da qui nasce il mio odio verso le donne - ma tranquille, ho fatto pace con voi…beh, alcune di voi, ma ho capito che non avete colpa ad essere vagino-munite), tutte apparenza e poca sostanza, molto di destra e omofobiche - il che doveva essere già all'epoca un segnale forte che, se le persone di cui ti circondi non accettano quello che costituisce un buon 50% della tua persona, non sei molto bravo a sceglierti gli amici.

Con questo piccolo outing sono andata un attimo off-topic...
Torniamo a Matteo, l'introverso cialtrone del mio cuore.

Cosa succede nella testa di un introverso, se eccessivamente esposto alle persone?

Ebbene, si SCARICA. Come la peggiore delle pile modello super-economico, comprato al negozio di cinesi all'angolo.
Il mio modello di introverso personale, poi, è davvero speciale: l'ascolto attivo è per lui motivo di vanto (voi ce l'avete un uomo che ascolta davvero? LO SO, è una roba invidiabile), perciò mai ti dirà che non ha testa per ascoltarti. Piuttosto si addormenta, in pieno giorno, consumato dagli eccessivi input.
Lui dice che non dorme bene, io sospetto di averlo sfinito con le mie chiacchiere...

Come comportarsi con un introverso?

Ah, questa è un'ottima domanda, perché io mica ho ancora capito (e il 21 facciamo 4 anni di matrimonio, per dire).
So solo che:

a) Ogni tanto è conveniente sparire per mezza giornata (in questo periodo mi sono chiusa in una stanza, senza fare rumore), per dargli l'impressione di essere solo

b) E' inutile incaponirsi e trascinarlo a tutti gli eventi sociali: lui sarà angosciato tutto il tempo e tu appresso a lui, rovinandoti il momento

c) Ha dei tempi biblici a elaborare le emozioni e no, non puoi accelerare il processo

d) Gli introversi non sono affatto noiosi, né "limitati": Matteo è una delle persone più brillanti e buffe che conosca

Incontrarlo mi ha insegnato tanto. Mi ha aiutata a voler comprendere pienamente la complessità della mente umana, a mettermi alla prova e a migliorarmi come persona, imparando a rispettare le persone diverse da me - intendiamoci, mai stata razzista o chissà che. Ho giusto un'allergia verso i leghisti, ma per il resto sono ok.

Se vivi con un introverso (o sei tu ad esserlo), raccontami la tua esperienza.

Puoi farlo: a) Rispondendo a questo post b) Scrivendo tu un bel post su Instagram (ricordati di taggarmi, così non me lo perderò).

Non vedo l'ora di leggere la tua storia!

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